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LA VIA DELLA PORCELLANA

La Compagnia delle Indie Orientali

CONTESTO STORICO GENERALE:

L’occupazione di Ceuta, da parte delle truppe portoghesi nel 1415 viene considerata l’inizio dell’era delle grandi esplorazioni geografiche. L’Europa, da quel momento, si lanciò alla conquista delle principali rotte oceaniche, per raggiungere i ricchi territori d’oltremare, incrementando ogni anno le proprie conoscenze ed esperienze. I navigatori portoghesi, durante le loro peregrinazioni, incontrarono terre, popoli e culture del tutto sconosciuti e iniziarono a mettere in discussione il sapere geografico tradizionale. Un primo assaggio si ebbe nel 1291 con l’impresa fallita dei fratelli genovesi Ugolino e Vadino Vivaldi che si erano avventurati in pieno oceano con due fragili galee di tipo mediterraneo. Ma fu solo con l’entrata in scena del Portogallo che il movimento di espansione cessò di essere un fatto sporadico e avventuriero per diventare un’autentica impresa di stato; infatti, il Portogallo fu il primo paese europeo a muovere alla conquista delle Indie Orientali, facendo il suo ingresso nelle acque asiatiche fin dai primi anni del Cinquecento. Dopo aver stabilito importanti basi a Goa nel 1510 e a Malacca nel 1511, i lusitani arrivarono sulle coste della Cina nel 1513; più tardi, nel 1543, si affacciarono sulle coste dell’arcipelago giapponese approdando a Tanegashima (種子島); nel 1557, il loro insediamento di Macao ricevette il benestare informale dalle autorità imperiali Ming; nel Kyushu, i portoghesi ottennero una prima attestazione a Hirado (平戸 – 1550/62), per poi muovere verso i territori del daimyo Omura Sumitada (小村純忠), il primo feudatario convertito al cristianesimo, e ottenere la libertà di commerciare a Nagasaki nel 1571.

TRA CINA E GIAPPONE: PIRATERIA E COMMERCI UFFICIALI

Watanabe Shusen, GIUNCA CINESE SI AVVICINA ALLE COSTE GIAPPONESI, XVIII secolo, dipinto su seta, Kobe, City Museum

Con la fondazione dell’impero Ming, la restrittiva politica marittima delle autorità centrali, aveva penalizzato i rapporti mercantili delle coste meridionali con i paesi d’oltremare. Nel 1372, con una serie di limitazioni relative al numero delle navi, agli equipaggi, ai membri delle missioni e ai tempi di permanenza, ai mercanti cinesi non erano consentiti viaggi oltremare. Ningbo accoglieva le ambascerie giapponesi; Quanzhou ospitava le missioni provenienti dalle Ryukyu; Canton riceveva i tributi dei paesi del sud est asiatico. Le conseguenze negative di questa politica sbagliata non si erano fatte attendere, e il contrabbando e la pirateria erano dilagati lungo le coste dell’impero. Il Mingshi (storia ufficiale dei Ming) riporta resoconti di attacchi e incursioni da parte dei WAKOU ( 和幸) i “famigerati” pirati giapponesi. L’attribuzione esclusiva del fenomeno all’arcipelago nipponico, aveva un fondamento inconfutabile, ma era anche un comodo alibi per le autorità cinesi, per non riconoscere la stessa partecipazione cinese: infatti, già nel XV secolo la presenza cinese eguagliava quella giapponese, ma nel Cinquecento fu addirittura superiore. Con il tramontare del XIV secolo, l’arcipelago giapponese si era presentato sui mari come grande e temibile potenza navale: Yoshimitsu, aveva affermato il suo potere su gran parte del territorio nazionale, riunificando nel 1392 le due corti di Yoshino e Kyoto, e intervenendo come elemento frenante sui vari potentati regionali. In seguito agli accordi raggiunti con Yoshimitsu all’inizio del XV secolo, l’impero dei Ming aveva ritenuto di poter godere di un po’ di respiro in ambito estremo orientale, ed aveva orientato le spedizioni verso i mari sud orientali e occidentali. Tuttavia, il successore di Yoshimitsu, Yoshimochi (徳川義持), non aveva proseguito la conciliante politica adottata dal padre, ed aveva interrotto le relazioni amichevoli che questi aveva instaurato con i Ming. Quindi, il governo Ming si era regolato di conseguenza, prendendo seri provvedimenti: aveva vietato a chiunque di sbarcare armato, aveva dislocato guarnigioni militari lungo i litorali e costruito numerose mura e fortini. In questo modo, però, il governo Ming aveva finito per ledere gli interessi delle stesse popolazioni costiere cinesi, che furono costrette a rifugiarsi nelle isole, spesso unendosi ai pirati, spesso creando gruppi autonomi sotto le mentite spoglie dei wakou: il risultato fu il manifestarsi di una pirateria cinese o di un’aggregazione di quest’ultima alla pirateria giapponese e coreana.

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